«[…] non posso fare a meno di vedere la città come un grande corpo che respira, un corpo in crescita, in trasformazione, e mi interessa coglierne i segni, osservarne la forma, come il medico che indaga le modificazioni del corpo umano
per leggerne la natura» (Gabriele Basilico, Architetture, città, visioni. Riflessioni sulla fotografia, a cura di A. Lissoni, Mondadori, Milano, 2007, pp. 115-116). Collocando idealmente la presente mostra sullo sfondo della
suggestione di Basilico lo spettatore trova una via privilegiata e coinvolgente per percorrere le immagini esposte. Seppur scevre da velleità artistiche, le fotografie del fondo recentemente acquisito dalla Biblioteca dell’Accademia
di architettura di Mendrisio, non sono prive di un forte potere evocativo oltre che documentario. Attraversata dai lavori di costruzione della metropolitana, Milano è immortalata lungo un arco temporale di cinque anni (1958-1962),
durante i quali il suo tessuto urbano vive un’importante e profonda metamorfosi. Sottosuolo e superficie divengono infatti teatri di scavi, tagli, aperture, in un processo di avanzamento del nuovo che coinvolge la struttura
della città e il modo in cui gli individui la esperiscono e fruiscono. Al di là degli scopi documentari che all’epoca hanno animato gli scatti ora qui presentati, la ricchezza del fondo fotografico risiede nella sua capacità di alludere
a stratificazioni temporali e urbane di più ampio respiro. Posto di fronte alle numerose immagini di cantieri aperti, lo spettatore assiste al sorgere di un inedito gesto comunicativo che unisce le vie cittadine e gli individui che
le animano, scorge l’emergere di nuovi equilibri urbani, in un costante confronto tra il passato e il futuro che si fa largo tra le maglie della città. Un dialogo, quello tra le varie epoche, che si ode soprattutto quando edifici storici
e radicati nell’immaginario collettivo, quali ad esempio il Duomo o il Castello Sforzesco, appaiono essi stessi spettatori del cambiamento in atto e del sorgere di nuove armonie. Le immagini del fondo assurgono così a specchio di un’epoca,
divengono occasioni per soffermarsi sulla storia della città, sulle sue trasformazioni ed evoluzioni, di cui i tracciati urbani e le architetture sono depositari privilegiati. Una documentazione dedicata all’affacciarsi del futuro
che, sebbene in altro contesto, potrebbe ricordare il lavoro dell’americana Berenice Abbott (1898-1991) e del suo Changing New York (1939), progetto dedicato ai cambiamenti della città tra il 1935 e il 1939. Nelle oltre duecento
immagini che compongono il fondo fotografico milanese e che registrano passo per passo la progressione dei lavori, lo spettatore è inoltre confrontato con gli artefici concreti del cambiamento: l’uomo e la macchina. Ma se le immagini
che si soffermano sui momenti dell’attività operaia sono forse le più frequenti, non sono rari gli scatti in cui gli individui sono assenti e ad occupare la scena sono le sole macchine e gli oggetti del mondo industriale, protagonisti
di ritratti che ne fissano i volumi e la struttura nel complesso, oppure che si concentrano in modo ravvicinato su dettagli che fanno parlare la trama stessa dei materiali. Ed è in questi casi che le foto raggiungono una massima
essenzialità, trasmettendo la volontà di uno sguardo oggettivo e neutrale che per certi versi può ricordare le opere di un fotografo quale Albert Renger-Patzsch (1897-1966) o, in anni più recenti, i lavori di archeologia industriale
dei coniugi Bernd (1931-2007) e Hilla (1934) Becher. All’afflato “scientifico” fa poi eco anche una dimensione maggiormente narrativa, per cui accanto alla frenesia del lavoro operaio emergono spaccati di vita cittadina colta nella
sua attività o si incrociano passanti che, camminando accanto ai tagli che si aprono nel terreno e sfumano in lontananza, richiamano ulteriormente e metaforicamente l’avanzare del domani in quell’oggi che
diviene ieri. Vega Tescari